I PROFUGHI ITALIANI
1960- 76 ricordi
Wanda Arnone racconta
Il mio arrivo in Italia
Io, avevo solo 14 anni e non vedevo l'ora di conoscere l'Italia, il paese dei miei nonni e come tutte le ragazzine della mia età ero euforica e diciamolo pure felice di affrontare questa nuova vita e di conoscere la nostra amata Patria, tanto decantata dai miei genitori. Ero ancora ignara di tutto quello che mi aspettava.
le fotografie che raccontano l'attuale degrado del Campo Fraschette sono di Maria Novella de Luca
Arrivammo a Napoli con
la nave " Campania Felix" partita dal porto di Tunisi ( La Goulette)
nel pomeriggio del 6 luglio 1966.
Era l'8 luglio
quando dopo ore di attesa alla stazione ferroviaria di Napoli, ci caricarono su
un treno destinazione " FROSINONE". Un autobus ci aspettava alla
stazione e ci dissero che da li a poco, saremmo arrivati al Alatri e precisamente
al Campo Profughi de Le Fraschette.
Io, avevo solo 14 anni e non vedevo l'ora di conoscere l'Italia, il paese dei miei nonni e come tutte le ragazzine della mia età ero euforica e diciamolo pure felice di affrontare questa nuova vita e di conoscere la nostra amata Patria, tanto decantata dai miei genitori. Ero ancora ignara di tutto quello che mi aspettava.
2- Avevamo lasciato una
bella casa su due piani, luminosa, con servitù e tutti i conforts, una casa che
mio padre aveva fatto costruire prima che io ( l'ultima di tre figlie)
nascessi, e fu veramente sconvolgente il primo impatto quando ci assegnarono la
nostra stanza in un padiglione ( se mi ricordo bene il primo a sinistra
dell'ingresso principale)
Una camera buia, umida,
squallida con tre letti, un tavolo, tre sedie.
Ci furono assegnate tre
coperte del tipo grigio-verdi militari e una coppia di lenzuola a testa,
marchiate con un timbro nero, segno di riconoscimento del Campo.
Il tutto doveva essere
restituito rigorosamente al momento di lasciare il campo.
Mi scordavo della stufetta
appesa al muro per i giorni freddi, per non parlare dei bagni,un unico
lavandino di cemento grigio che serviva per tutti gli usi senza acqua calda
naturalmente.
Non potrò mai scordare
il viso di mio padre, appena entrato in quel luogo che doveva essere la nostra
futura dimora. Si sedette su un letto e grossi lacrimoni gli scorrevano sul
viso e ripeteva in continuazione "dove ci hanno portato", il viso fra
le mani, si disperava.
Premetto che non avevo
mai visto mio padre piangere, era una persona gioviale, allegra e sempre
sorridente, poi si ammutolì completamente e credo che quella prima notte,
nessuno di noi chiuse l'occhio
3-Dopo due giorni del
nostro arrivo al campo, mio padre fu ricoverato all'ospedale S. Benedetto di
Alatri per complicazioni polmonari.
Con il passare dei
giorni le sue condizioni non miglioravano e fu trasferito all'ospedale Civile
di Frosinone, quando il 10 Agosto, ad appena un mese dal nostro arrivo, ci annunciarono
con un megafono dalla direzione del Campo di andare con urgenza all'ospedale di
Frosinone.
Suo padre mi dissero,
si è aggravato, è meglio che andate subito.
Ho avuto un brutto
presentimento.
Mia madre aveva difficoltà
a camminare per una gamba colpita da flebite e per fortuna trovammo un passaggio
in macchina e come già prevedevo, il babbo non c'era più.
Sul suo co modino
trovammo una lettera scritta di suo pugno in francese e che conservo ancora
gelosamente.
Sto meglio diceva e ci
aspettava al più presto.
Dopo la sua scomparsa, la piccola che ero io si dovette rimboccare le maniche. Mia madre andò in depressione totale e praticamente gli dovetti fare io da mamma, procurandogli il cibo che offriva il convento. Ogni mattina, mezzogiorno e sera, con qualsiasi condizione climatica anche sotto la pioggia, ci mettevamo tutti in fila indiana davanti alla cucina per ritirare la razione di cibo. Mi ricordo a parte pasta e minestra, ci toccava spesso per secondo 1 fetta di mortadella, 1 formaggino Galbani, invece la domenica un quarto di pollo arrosto per uno, era festa.
Dopo la sua scomparsa, la piccola che ero io si dovette rimboccare le maniche. Mia madre andò in depressione totale e praticamente gli dovetti fare io da mamma, procurandogli il cibo che offriva il convento. Ogni mattina, mezzogiorno e sera, con qualsiasi condizione climatica anche sotto la pioggia, ci mettevamo tutti in fila indiana davanti alla cucina per ritirare la razione di cibo. Mi ricordo a parte pasta e minestra, ci toccava spesso per secondo 1 fetta di mortadella, 1 formaggino Galbani, invece la domenica un quarto di pollo arrosto per uno, era festa.
Dopo la scomparsa del
babbo, passata l'estate, ci ritrovammo, mia madre ed io in questa zona isolata
dal resto del paese, situata in una vallata
attorniata da montagne, capimmo solo allora che quel sito non era altro che un
ex campo di concentramento. Il suo muro di cinta era particolarmente alto e
agli angoli c'erano le garitte di controllo, naturalmente non funzionanti.
Fu
un inverno in cui abbiamo sofferto tanto il freddo, non avete neanche idea del
freddo che faceva in quella conca in mezzo alle montagne, nebbia, umidità. A tutto ciò non eravamo abituati,
oltretutto non eravamo molto attrezzati con vestiti pesanti venendo da un paese
caldo e soldi per comprarli non c'erano.
Con
il mese di ottobre, si presentò il problema della scuola per me. Le intenzioni
di mio padre erano di mandarmi in Francia da mia zia, dove già da qualche anno
viveva e studiava la seconda delle mie sorelle. Naturalmente dopo la tragedia,
tutti i progetti andarono in fumo per ovvi motivi.
Con
l'aiuto di un'assistente sociale del campo e dietro suo consiglio mi fece fare
per quell' anno un corso di Steno-Dattilografia ( allora si usava la
stenografia), in attesa di decidere cosa fare da grande. Avevo la terza media
in lingua francese e non avevo mai studiato l'italiano, lo capivo comunque un
pò.
La
scuola si trovava in corso della Repubblica ad Alatri, non lontano dalla Piazza
e quindi tutte le mattine, dopo aver fatto la fila per il ritiro del caffelatte
per due e la razione giornaliera di pane spesso e volentieri duro, partivo per
Alatri con la corriera ( così chiamavano il bus che faceva la spola
Campo/Alatri.
A
scuola mi ambientai subito e presto feci amicizia con i ragazzi e le ragazze
della mia età. Provenivano da vari paesi dei dintorni di Alatri e a stento
capivo il loro dialetto ciociaro ma mi divertiva sentirli parlare e loro mi
prendevano in giro quando aprivo bocca con il mio italiano un pò
stroppiato.Però erano molto disponibili con me e molto gentili. Ne conservo un
bel ricordo.
Al campo
avevamo contatti verbali solo con persone dei paesi come Egitto, Tunisia,
Libia. Marocco. Si scambiava esperienze di vita maturate nei paesi di
provenienza, si discuteva sul futuro e sull'ospitalità non adeguata ricevuta
fino ad allora, con loro si parlava prevalentemente francese o in italiano (
dialetto che si parlava da noi). La maggioranza come noi erano di origine
siciliana come i miei nonni.
5 -Piano, piano e con tante difficoltà da
affrontare passò l'inverno e con l' arrivo della primavera, mia madre che fino
ad allora aveva
fatto vita molto ritirata in quel buco di stanza, cominciava a riprendersi e a
socializzare un pò con il vicinato. Arrivò una famiglia del nostro paese e si
scambiavano visite ogni tanto. Difficilmente dava confidenza alle persone che
non conosceva e dopo la scomparsa di papà divenne ancora più chiusa.
Io invece, avevo conosciuto qualche ragazza della mia età, si
andava a fare passeggiate intorno al campo e alcune volte si arrivava ad Alatri
a piedi. Ci si vedeva in quella sala prima dell'ingresso principale del campo
dove ogni tanto, soprattutto il sabato sera si vedeva la TV tutti insieme.
Arrivò l'estate, finì il mio corso di steno-Dattilo riportando
la valutazione " idonea". I miei zii di Roma, i fratelli di mamma
decisero dopo una riunione di famiglia, che non avremmo passato un altro
inverno in quelle condizioni inumane e a settembre 1967 ci trasferimmo a Roma
in una casetta modesta in affitto ( 2 camere, cucina e bagno) nei pressi di S.
Giovanni. Ci aiutarono loro i primi tempi a pagare l'affitto di casa e mio zio
Michele, quello maggiore dei fratelli fece tornare la seconda delle mie sorelle
dalla Francia che ormai aveva finiti gli studi e gli trovò lavoro alla
AIR-FRANCE come stagionale ( cioè a tempo determinato).
Lui era da parecchi anni funzionario all'Alitalia e aveva molte
conoscenze nell'ambito delle compagnie aeree.
Così, ad ottobre io cominciai ad andare a scuola, scelsi una
scuola per Turismo dove oltre al francese, si studiava, tedesco, inglese,
storia dell'arte, tecnica turistica e altre materie. Feci questo triennio e ne
uscì con il diploma di " Addetta alle Agenzie turistiche" con bei
voti. D'estate mi arrangiavo a fare la Baby- Sitter o la cassiera nei
supermercati per aiutare un pò a casa
6 - Finita la scuola, a questo punto urgeva trovare lavoro, vista la
nostra situazione economica veramente precaria e dipendere dagli altri non era
molto gratificante, almeno per me. Mio zio aveva l'intenzione di trovarmi un
impiego nel campo delle agenzie di viaggio come aveva fatto con mia sorella, ma
io ho preferito cavarmela da sola e senza dire niente a nessuno mandai il mio
primo curriculum ad un importante industria farmaceutica della zona trovai
l'inserzione sul messaggero di Roma). Cercavano una segretaria bi-lingue con
buona conoscenza della lingua francese scritta e parlata. Dopo pochi giorni mi
chiamarono per un colloquio nella sede dell'azienda all'EUR. Il posto di
lavoro, l'industria stava a Pomezia.
Eravamo in tante a fare questo colloquio ed il posto era molto
ambito. Fui privilegiata, prima per la buona conoscenza della lingua francese e
per la mia condizione di profuga, orfana di padre con madre a carico senza
pensione. Il ragioniere che mi intervistò si intenerì e dopo questa mia storia
un pò tragica, mi fece capire che probabilmente mi avrebbero chiamata per i tre
mesi di prova e così fu. Dopo una decina di giorni, arrivò una lettera
dall'azienda che mi invitava a presentarmi allo stabilimento.
Era il 2 febbraio 1970 quando fui assunta. I miei zii e mia
madre non erano affatto d'accordo. Il lavoro distava 40 km da casa, alzataccia
alle 5,30 del mattino e partenza con navetta aziendale alle ore 7,00 da piazza
S. Giovanni. Ma io cocciuta, decisi di provarci contro il parere di tutti. In
quella azienda ci ho lavorato 34 anni, Certo i primi anni non sono stati
facili, mi fecero fare tante sostituzioni poi dopo un paio d'anni, il capo
ufficio contabilità mi scelse come segretaria. Li, ho trovato un bellissimo
ambiente, bravi colleghi con chi ancora sono in contatto e un capo molto a la
mano e comprensivo.
Mi aiutavano molto con la lingua e mi trovai subito a mio agio,
ormai l'ufficio era diventato casa mia, coccolata e stimata da tutti, così mi
sentivo. Subito dopo l'assunzione, mi sposai molto presto, il primo figlio a 20
anni, la seconda a 26 e tanti sacrifici per comprare una prima casa tutta
nostra.
Mia madre, naturalmente viveva con noi, ma nel 1977, l'anno in
cui io aspettavo mia figlia Silvia, morì per un blocco renale a soli 66 anni.
Io, ero al settimo mese di gravidanza e quest'altro dolore non ci voleva e
quindi mi ritrovai sola a crescere i miei figli.
Sono stati anni molto
duri, ma grazie al cielo, dopo tanto tribolare, oggi non mi posso lamentare.
Con tanta fatica sono riuscita ad avere questa benedetta pensione pochi anni fa
che mi permette di vivere decorosamente e con tante bocche da sfamare, ma per
figli e nipoti questo ed altro. I miei riposano tutti i due al cimitero di
Frosinone e ogni tanto porto a loro fiori freschi e la mia presenza, ringraziandoli
sempre per tutto quello che hanno fatto per noi.
Volevo
consigliare ai miei amici di comprare e leggere il libro "IL PROFUGO ITALIANO" scritto da
Fabio Guastamacchio e che racconta la vita di Bruno BUCCETTI che ha vissuto
anche lui per un periodo al Campo. Leggetelo è molto interessante. Si compra su
Internet e non in libreria. Volevo ringraziare anche lui per avermi spronato a
scrivere questa dolorosa parentesi della mia adolescenza, autorizzandomi a
prendere alcuni spunti del suo racconto. Grazie ancora Bruno
Grazie Wanda, ho trovato il tuo racconto molto toccante e pieno di emozioni. Sono felice di aver contribuito a scrivere un pezzo della vostra ma anche della nostra storia d'Italia. Grazie ancora
RispondiEliminaFabio G.
Ho letto con molto interesse la sua storia, cercavo testimonianze di quel periodo . Ci passarono molti miei parenti italiani profughi dell’Egitto, ero giovanissima quando andammo a trovarli , anche io sono profuga dell’Egitto , ma con la mia famiglia arrivammo nel 56 e non c’era nessuna accoglienza , per cui andammo in una casa pagando una stanza in affitto a Roma Tufello . Ricordo sempre con grande tristezza la visita ai cugini ad Alatri , oggi pare incredibile come furono accolti . Non se ne parla mai … È storia da ricordare !
RispondiElimina