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martedì 8 maggio 2018


Nenad Panovic

Ingegnere croato  tornato ad Alatri dopo 65 anni
per vedere il campo d’ internamento dove era stato recluso 


di Pietro Antonucci

Quando nel 1942 Nenad Panovic viene prelevato dalla sua casa nell’ isola di Molat (odierna Croazia) aveva 15 anni: la sua “colpa” è quella di avere un fratello partigiano. Nenad viene portato via insieme ai genitori, ad un altro fratello, alla cognata e altri amici – in totale 42 persone – con destinazione il campo di internamento delle Fraschette, tra Alatri e Fumone. Ossia in una dei 200 campi realizzati dal fascismo per isolare gli oppositori e le persone sgradite al regime, compresi quei dalmati, croati e sloveni considerati “alogeni”, ovvero italiani non puri, non fedeli, visti come una minaccia perché in odore di tradimento e di comunismo.
Nenad ha solo 15 anni, ma l’ età non conta; le sue origini rappresentano in nuce il pericolo, alimentano il sospetto; resterà alle Fraschette sino al dicembre 1943, prima di poter tornare a casa. Nenad oggi è un arzillo anziano di 81 anni (è nato nel 1927), ingegnere navale in pensione che vive con la moglie Boiana, insegnante d’ arte, nella capitale croata Zagabria. Dopo 65 anni, rimette piede ad Alatri, per rivedere il campo delle Fraschette. Nenad e la moglie approfittano di una breve vacanza a Roma per prendere il treno in direzione Frosinone e poi raggiungere Alatri con il bus. Quando i due arrivano all’ ombra dell’ Acropoli è una caldissima mattina di fine giugno. Sanno già dove andare: mesi fa hanno scritto all’ ufficio cultura del comune di Alatri, dove li attende la signora Marilinda Figliozzi che da tempo lavora con passione alla ricostruzione delle complesse vicende del campo che ha vissuto più fasi nella sua lunga e tormentata storia. I ricordi di Nenad sono lucidissimi. Mostra i documenti che attestano la sua reclusione. “Quando arrivai ad Alatri, i muri della città erano tappezzati di scritte inneggianti al Duce; quando andai via, non c’era più nulla di tutto ciò. Io e la mia famiglia venimmo assegnati alla baracca 77, le baracche erano 160. In ogni baracca c’erano stanze di quattro metri quadri con due letti a castello. La prima stanza era riservata al capo baracca e, alla fine di ognuna, c’era una piccola chiesa dove poter pregare”.
Nenad parla del campo circondato da una semplice staccionata in legno, alta si e no un metro, una guardia posta al controllo ogni 100 metri.
Tutti gli internati mangiavano in una mensa dove veniva servita una zuppa di fagioli e una razione quotidiana a testa di 125 gr. di pane; ci si lavava all’aperto con un budello.
La vita del campo scorre tra le sofferenze, fame e violenza : “I militari facevano l’amore con le donne internate…una volta scappai per due giorni in cerca di cibo e mio fratello rispondeva per me quando c’era l’appello al mattino e alla sera…” I reclusi chiedevano da mangiare nei dintorni e gli alatrensi non avevano problemi a sottrarre qualcosa dalla loro tavola per darla a quegli stranieri sconosciuti.
Gli viene in mente un detto che, all’epoca, era in voga alle Fraschette: “Buon Natale senza sale, buona Pasqua senza acqua”.
Poi, in auto, arriviamo al campo delle Fraschette.
Nenad lo ricorda diverso: “Non c’erano queste baracche! Le nostre erano in compensato e cartongesso…” Già, gli odierni edifici in muratura, ormai invasi dalla vegetazione, sono stati costruiti in un secondo momento.
Domanda: cosa prova nel calpestare di nuovo la terra di questo campo? “Nostalgia”.
Nostalgia? “Si, perché ero giovane, ero un ragazzino. La vita era difficile qui, ma se penso ad Auschwitz, era come stare un po’ in vacanza…”. Ricorda le suore Giuseppine di Veroli o le visite dei vescovi? “No, ma mi ricordo di un cardinale” (si trattava del nunzio apostolico Riberi, arrivato alle Fraschette il 26 agosto 1943, ndr). La memoria va dunque all’ estate del 1943: il 25 luglio il Gran Consiglio del fascismo sfiducia Mussolini, l’ 8 settembre è la data dell’ armistizio. “Alla fine di settembre, sentiamo i bombardamenti. Pensiamo: sono gli inglesi che ci vengono a liberare! Le donne si misero all’ ingresso del campo, pronte ad accoglierli con i fiori. Invece …”. Invece, arrivano i tedeschi. “Scapparono tutti per paura di un rallestramento; i militari presenti al campo volevano consegnare loro i fucili, ma i tedeschi fecero capire di essere interessati soltanto alle automobili e alle jeep. Ci dissero che eravamo liberi…” E voi cosa faceste? “Era settembre, uscimmo fuori per rubare i grappoli d’ uva, i contadini del posto chiusero un occhio…” Quindi il ritorno a casa, a fine 1943. “Ci impiegammo un mese, con il treno. Partimmo dalla stazione di Alatri, arrivammo a Fiuggi e poi a Roma”. Da lì, la lenta risalita a Trieste e, infine, a casa. Un nipote di Nenad – Igor, di poco più di un anno - morì ad Alatri nel 1943, ma negli occhi di questo ottantenne non c’è tristezza, amarezza, odio, solo un po’ di commozione per aver rivisto i luoghi, la città in cui ha trascorso parte della sua adolescenza. Alle 15, Nenad e Boiana riprendono il bus per Frosinone, salutano “Grazie, ci sentiamo presto, ritornerò” Si, Nenad e siamo noi che ti ringraziamo per averci fatto partecipi dei tuoi ricordi.