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venerdì 3 aprile 2020

“Sconfinamenti” cultura attualità e musica dell'Alto Adriatico.
Un programma della sede Rai per il Friuli Venezia Giulia.

Di seguito la trascrizione dell'intervista del 28 maggio 2019 relativa alla trasmissione radiofonica "Sconfinamenti" della Sede Regionale RAI per il Friuli Venezia Giulia (in convenzione con la Presidenza del Consiglio dei Ministri italiano), curata da Massimo Gobessi: uno spazio quotidiano che ogni giorno - dalle 16.00 alle 16.45 e la domenica dalle 14.30 alle 15.30 - è dedicato agli italiani dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia. Viene diffuso in onda media sulla frequenza AM 936 e anche, in diretta streaming, dal sito internet www.sedefvg.rai.it. e copre tutto il bacino dell’alto Adriatico. E' possibile ascoltare l'audio dell'intera puntata cliccando QUI.

Graziano D’Andrea: «Un buon pomeriggio, ben ritrovati. Graziano D'Andrea in vostra compagnia. Saluto in studio il nostro curatore Massimo Gobessi.»
Massimo Gobessi: «Ciao Graziano buon pomeriggio a tutte le ascoltatrici e ascoltatori di “Sconfinamenti”.»

Graziano D’Andrea: «E questa è una delle tante, ogni tanto, apparizioni...»

Massimo Gobessi: «...apparizioni radiofoniche.»

Graziano D’Andrea: «E questo mi fa piacere. Salutiamo anche il nostro tecnico Bruno Montevecchi, naturalmente. Adesso spieghiamo anche perché, in questa prima parte di “Sconfinamenti”, Massimo entra in gioco. Ci fai sconfinare fino nel Lazio, vicino ad Alatri, giusto?»

Massimo Gobessi: «Vicino ad Alatri, perché parleremo di una storia estremamente interessante perché si dipana dal 1942 fino al 1976. Ne parleremo con un ospite al telefono che, anzi, io ringrazio e saluto: è Marilinda Figliozzi. Buon pomeriggio, benvenuta a “Sconfinamenti”.»

Marilinda Figliozzi: «Grazie Massimo, buonasera a lei e buonasera a tutti gli ascoltatori. Grazie per l’interesse che mostrate alla storia del “mio” campo “Fraschette”.»



Massimo Gobessi: «Ecco, “Le Fraschette di Alatri è il titolo anche di questo saggio scritto a quattro mani da Mario Costantini e - appunto - da Marilinda Figliozzi. Io ricordavo, per la prima parte ovviamente di questo saggio, che ci riferiamo alla costruzione di questo campo di detenzione, campo veramente di concentramento, lo potremmo definire così, costruito... aperto, meglio, il primo ottobre 1942 e poi chiuso nel 1944. Passarono migliaia di persone, passarono persone sospette di origini anglo-maltesi, dalmati, sloveni, croati, insomma una moltitudine di persone. Ci furono anche delle morti, soprattutto fra i bambini, quindi una situazione veramente precaria che si concluse, dicevo prima, nel 1944 quando le persone, una buona parte di queste persone, furono trasferite verso il campo di Fossoli e anche Fossoli è un'altra storia di cui ritorneremo a parlare proprio a “Sconfinamenti”.
Però - c'è un però - perché subito dopo il secondo conflitto mondiale questo campo diventa una C.R.P.S., Centro Raccolta Profughi per Stranieri, fra virgolette. Ed è subito dopo la guerra. Con quali finalità, MarilindaFigliozzi?»

Marilinda Figliozzi: «Allora, il campo rinasce dopo la guerra per ospitare stranieri indesiderabili. Erano gli ex criminali di guerra, i clandestini, i sabotatori, le spie. E il governo italiano aveva disposto l'internamento di queste persone per permetterne l'identificazione, perché la maggior parte chiedeva asilo politico. Questo fatto dell'essere internati coinvolse una serie di persone, perché andarono a finire al campo stranieri senza documenti, per esempio gli esuli istriani,  i rifugiati d’oltre cortina. Quindi nel campo degli stranieri indesiderabili finivano anche persone arrestate per piccoli furti, per indisciplina da altri centri profughi, oppure persone che si riteneva fossero pericolose.
Consideriamo, che il campo comincia a esistere nell'immediato dopoguerra in un momento di caos e di confusione generale. Era supportato dall'interessamento e dall'organizzazione dell’I.R.O., l’Organizzazione Internazionale per i Rifugiati che ci dice e  registra che in Italia e nel territorio libero di Trieste, per esempio, nel ‘46 ci furono più di 120.000 persone rifugiate che chiedevano  asilo politico.»

Massimo Gobessi: «Come si presentava nel campo nel 1947-48 e che era tra l'altro - dobbiamo ricordarlo - vigilato dalla Polizia?»



Marilinda Figliozzi: «Il Campo era - diciamolo chiaramente - era bello.  Era bello perché era stato costruito ex novo, perché le bombe e una serie di eventi avevano distrutto il campo precedente. Era mantenuto dai poliziotti e dagli internati. Era racchiuso da circa 2 km di mura molto robuste con delle garitte e delle torri di guardia ed era illuminato giorno e notte e anche le persone esterne , quelle che dovevano entrare, avevano necessità di essere controllate a lungo. Non solo, il campo era diviso a metà da un ulteriore muro che separava la parte della vita quotidiana di tutti, dalla parte in cui erano internate le persone… i prigionieri, chiamiamoli così. Per cui era di notte chiuso, questo muro, da un cancello; sulla sinistra c'erano gli uffici dei militari, le abitazioni dei militari, i garage, ma c'erano anche una biblioteca, lo spaccio, l'infermeria, c’erano le cucine, c’era un cinema e addirittura una piscina.
Dall'altra parte, invece, c’era - ed esiste ancora - un grande padiglione in cui c’erano le camerate dove vivevano gli internati; al centro un cortile centrale, affiancato il tutto da baracche per i servizi tipo docce, bagni, lavanderie. E lì vivevano tutti insieme. La cosa che a me ha colpito di più è che vivevano insieme persone che fuggivano da  diverse ideologie politiche: c’era chi scappava dal comunismo e chi scappava dal fascismo. Quindi le liti erano all’ordine del giorno e l'ordine era affidato a poliziotti armati di moschetto, pistola e 5 bombe a mano.»
Massimo Gobessi: «Erano 127 agenti… erano tanti…»Marilinda Figliozzi: «Sono arrivati a oltre 127 agenti per il controllo, diciamo intorno ai 1.000 internati.»

Massimo Gobessi: «Ecco, quale era la vita nel campo?»

Marilinda Figliozzi: «Allora, la vita nel campo. La mia prima riflessione è che il sentimento più grosso era la voglia di ritornare a casa e la noia. Perché nel campo si aspettava che venissero espletate tutte le pratiche burocratiche che, chiaramente, impiegavano tantissimo tempo. Questo è il motivo per cui molti erano stati autorizzati a coltivare gli orti, collaboravano con la gestione quotidiana del campo (a fronte di una piccola retribuzione di 100 lire), erano incaricati delle pulizie, di lavori di falegnameria, i medici stavano in infermeria, gestivano un ufficio postale e quindi passavano un pochino il tempo.
Qualcuno aveva il permesso anche di uscire, di venire ad Alatri o di andare a Roma ad espletare le varie pratiche, altri non potevano assolutamente uscire perché,  tra quelle persone, potevano esserci anche delle persone pericolose.
Non dimentichiamo poi, tra i passatempi, le partite di pallone - che sono passate alla storia - anche con altri campi simili, tipo quello di Cinecittà di Roma, da dove venne Puskás… Scusate, Kubala, ho sbagliato. Puskás è vissuto ad Alatri. Kubala venne da Roma per giocare una famosa partita per gli alatresi.
Per indicarvi però la qualità della vita, ho trovato anche degli elenchi che indicavano i malati e mi sono consultata anche con un medico amico, perché tra queste persone c'era tanta tubercolosi, tante malattie veneree, c'erano complicanze cerebrali legate alla sifilide, bronchiti legate al fumo… Ma la cosa incredibile - era un altro mondo - è che non c'era artrosi, non c'erano malattie reumatiche e non c'erano tumori.»



Massimo Gobessi: «è incredibile, è incredibile questo anche perché una storia e cura del campo molto particolare che si ritrova e si può leggere, come ricordavo prima, nel saggio “Le Fraschette di Alatri, da campo di concentramento a centro raccolta rifugiati e profughi”, appunto, a firma sua Marilinda Figliozzi, e anche di Mario Costantini che si è occupato della prima parte per l'Associazione Nazionale Partigiani Italiani con il contributo…»

Marilinda Figliozzi: «Partigiani Cristiani, mi permetto di correggere.»

Massimo Gobessi: «Cristiani, chiedo scusa, sì. Cristiani. Con il contributo della Provincia di Frosinone ed altri enti, ovviamente. Ma la ricerca… lei parlava della ricerca: dove ha espletato tutte queste ricerche di cui ci sta dando conto?»

Marilinda Figliozzi: «Guardi, ad Alatri non esiste praticamente quasi nulla, perché era quasi tutto demandato ai vari ministeri, però esiste l’archivio di Stato di Frosinone e recentemente, soprattutto su questa parte qui, l’Archivio Centrale dello Stato a Roma, dove c’è da perderci una vita di tempo. Sì, perché è tantissimo e perché mi sono trovata anche di fronte a uno scoglio grande. Ossia, queste persone internate di cui io volevo sapere, perché magari sono arrivati dalla Jugoslavia, dall'Ungheria… io li ritrovo solo per fascicoli personali, messi in ordine alfabetico di tutta Italia. Quindi è un lavoro enorme, bisogna andare lì mirati, cercando una determinata persona. Però esistono degli elenchi generali - che tenevano mese per mese - in cui si dice chi c'era in quel mese al campo. Le faccio un esempio: come riporto nel libro, nel novembre del ‘47 c'erano 13 greci, 8 francesi, 2 finlandesi e c’erano un gran numero di jugoslavi. Per esempio, gli jugoslavi sono tutti sotto la parola “jugoslavi” ed erano 150. I tedeschi invece erano 698. Erano tutti seguiti dalla Croce Rossa, ma erano seguiti anche dai paesi di origine, quindi spesso venivano delle delegazioni diplomatiche a controllare le condizioni, a richiederne indietro qualcuno che non ritenevano meritare l’asilo politico. C'erano persone anche che ad Alatri sembravano strane, per esempio figure “furtive”, diceva Monsignor Capone. Come Monsignor Hudal e Monsignor Draganovic, che venivano al campo e si interessavano Hudal degli Austriaci (Hudal ha fatto partire tanti per  l’Argentina) e Monsignor Draganovic per quelli che erano gli Jugoslavi.
In tutta questa confusione, cuore di mamma - ossia io - vi dice che ogni volta che leggo io sono impressionata da… erano giovani, erano giovanissimi. E a questo proposito, se lei mi permette una piccola divagazione, le voglio leggere tre righe di un verbale dei poliziotti in cui si dice che è stato fermato un certo Alexievic Nicolajev  nato a San Pietro del Carso. E’ stato fermato per misure di pubblica sicurezza, è responsabile di un borseggio di un portafogli per la somma di 6.000 lire, dichiara di esser venuto in Italia nel ‘47 clandestinamente e voleva emigrare per il sud America. Afferma di essere stato quattro mesi al campo di Cinecittà e esserne scappato, ma questo non risulta ai poliziotti. Il verbale conclude: “trattandosi di straniero che potrebbe rendersi pericoloso alla sicurezza pubblica, si dispone che sia accompagnato al campo di concentramento Fraschette”. Lo sa quanti anni aveva? Aveva 12 anni.»

Massimo Gobessi: «Incredibile.»

Graziano D’Andrea: «Mamma mia.»

Marilinda Figliozzi: «E insieme a tutte queste persone c’erano anche tutta una serie di minorenni, vero che allora maggiorenni si era a 21 anni, però questo era un ragazzino di 12 anni sbandato. Che poi abbia rubato non mi meraviglia insomma.»

Massimo Gobessi: «Certo. Senta, poi arriviamo al Centro Raccolta Connazionali Profughi. C’è un passo indietro da fare. C’è, con l’arrivo di 970 persone provenienti dalla Tunisia e dall'Egitto - il fenomeno legato, ovviamente alla decolonizzazione - potremmo definirla così. Soprattutto per l'Egitto quando si parla, ovviamente, della crisi di Suez del ‘56.»

MarilindaFigliozzi: «Sì, esattamente.»

Massimo Gobessi: «Ecco, però un aspetto interessante: quello legato alla Libia, il colpo di stato del Colonnello Gheddafi del 1° settembre del 1969. Quindi questo centro viene - come dire - riaperto fra virgolette…»

MarilindaFigliozzi: «Viene ristrutturato completamente perché verso il ‘60, diciamo che i prigionieri e i richiedenti asilo, ormai finita la guerra, lontana la guerra, non ce n’erano quasi più. I pochi che sono rimasti vanno a finire a Farfa Sabina insieme alle donne e le camerate vengono ristrutturate, vengono divise in miniappartamenti, come le posso dire?!  Non immaginiamo i miniappartamenti, ma insomma, ogni famiglia aveva un paio di stanze dove vivere. E incominciano ad arrivare prima i Tunisini, poi…»

Massimo Gobessi: «….i residenti stranieri dell'Egitto, diciamo così.»

MarilindaFigliozzi: «Sì, gli Egiziani e poi i Libici. Ma erano tutti Italiani, di passaporto italiano. Tant’è vero che quando sono arrivati hanno votato in Italia.»

Massimo Gobessi: «Ecco, arrivano dalla Libia, vengono portati alle Fraschette. Nel libro c’è una copiosa documentazione anche di giornali dell’epoca che ci danno testimonianza proprio anche del disagio di queste famiglie all'interno di questo campo. Questo campo però che, come dire, va avanti nel tempo, no?! Perché viene chiuso appena nel 1976.»

Marilinda Figliozzi: «Sì, perché questa gente continua a soggiornare lì. Spesso e volentieri gli uomini vanno in giro in Italia alla ricerca di un lavoro e mano mano vanno via. Poi, non so, si sistemano i Tunisini, cominciano ad arrivare gli Egiziani. Comunque c’è sempre stato un bel numero di persone e sono persone che comunque si sono integrate con gli Alatresi. Molti di loro vivono con noi. Si sono stabiliti ad Alatri, lavorano…Io ho avuto compagni di scuola che parlavano correntemente francese perché venivano dalla Tunisia.
Loro hanno avuto anche delle agevolazioni sia economiche che sulle graduatorie e nello stesso tempo si sono rimboccati le maniche e piano piano si sono inseriti nelle attività del Paese. Perché erano un po’... si sentivano un po’ abbandonati da parte del governo, perché quando sono venuti qua, tutto si aspettavano, meno di finire in quello che per loro era un campo di concentramento, è chiaro.»

Massimo Gobessi: «Certo. Senta, Marilinda Figliozzi, io la ringrazio veramente di cuore per questa sua testimonianza. 

MarilindaFigliozzi: «Ma Grazie a voi!

Massimo Gobessi: «Ovviamente il nostro ringraziamento si estende anche a Mario Costantini.»

MarilindaFigliozzi: «Che ci sarà sentendo.»

Massimo Gobessi:«Ecco, che si sta ascoltando anche a Mario Costantini soprattutto per la prima parte di questo vostro saggio estremamente curioso ed interessante intitolato “Le Fraschette di Alatri, da campo di concentramento a centro raccolta rifugiati e profughi” a cura dell'Associazione Nazionale Partigiani Cristiani di Frosinone, la ringrazio veramente di cuore per questo suo contributo alla conoscenza della storia, ovviamente, del nostro Paese. Grazie per essere stata ai nostri microfoni.»

MarilindaFigliozzi: «Grazie a tutti voi, buonasera.»

Massimo Gobessi: «Grazie»

Graziano D’Andrea: «Buonasera. Veramente uno spaccato incredibile che non si poteva conoscere così nei dettagli, quindi veramente molto interessante.»

Massimo Gobessi: «Certamente. Noi a “Sconfinamenti”, come tu ben sai Graziano, e come ben sanno i nostri ascoltatori, stiamo cercando di dar spazio a quella che viene definita - secondo me in maniera impropria ed erronea - la pubblicistica legata all'esodo. Ovviamente Qui c'è una declinazione completamente diversa, ma che rientra comunque nella grande storia a seguito del secondo conflitto mondiale. Perché solo attraverso questi libri, questi piccoli saggi abbiamo l'opportunità di avere dei tasselli e riempire questo mosaico di storia. E’ un mosaico di storia. Va benissimo i libri dei grandi scrittori, dei grandi storici, prodotti dei docenti universitari che hanno l'opportunità, ovviamente, di andare negli archivi con molta più facilità e anche con competenza, magari maggiore di queste persone, però è fondamentale, attraverso la trattazione di questi libri, conoscere e approfondire alcuni aspetti legati - come dire - alla nostra terra, perché comunque quando parliamo di Fraschette di Alatri la decliniamo attraverso il nord-est, la decliniamo attraverso la Jugoslavia e la Slovenia, l’Istria soprattutto. E quindi c'è la possibilità veramente di conoscere un aspetto proprio misconosciuto della storia del nostro paese.»

Graziano D’Andrea: «Abbiamo la nostra visione, in qualche maniera.»

Massimo Gobessi: «Certamente.»

Graziano D’Andrea: «Bene, grazie, direi che a questo punto è tutto pronto per la seconda parte naturalmente.»

Massimo Gobessi: «E certamente, certamente. Adesso sentiremo...»

Graziano D’Andrea: «Grandi cose.»

Massimo Gobessi: «Grandi cose, come sempre.»

Graziano D’Andrea: «La mettiamo più sul simpatico, vai.»

Massimo Gobessi: «Ma certamente, c’è sempre bisogno di storia e anche di cose simpatiche, perché questo ci dà l'opportunità - come dicevo prima - di declinare tanti aspetti della nostra esistenza.»

Graziano D’Andrea: «Grazie Massimo.»

Massimo Gobessi: «Grazie a te Graziano.»

Graziano D’Andrea: «Ricordiamo che tutte le nostre trasmissioni le potete riascoltare e scaricare dal sito www.sedefvg.rai.it, servizio podcast. Cercate “sconfinamenti 2019” e buon riascolto.
Bene, siamo in chiusura. Ringraziano il nostro curatore, dunque Massimo Gobessi, il tecnico Bruno Montevecchi. Vi do appuntamento alla prossima di “Sconfinamenti”.
Un saluto a tutti da Graziano D'Andrea.»

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