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martedì 17 novembre 2015




FABIO GALLUCCIO - I LAGER IN ITALIA


dal sito http://www.perdersiaroma.it/?p=1923

23OTT 2015



Fabio Galluccio ha la vocazione civil servant.
 In una versione “azionista” che però non ti fa pensare all’effetto retro. 
Tutt’altro. Anni fa ne ha dato segno, unendola alla passione storica 
e dell’inchiesta, in un libro che ebbe un successo sorprendente per
 un tema allora poco glamour: “I Lager in Italia” (nonluoghi libere edizioni).
 Ne ripubblichiamo un estratto dedicato ad Alatri e al campo di sterminio “Le Fraschette”.
 Un viaggetto con una sua verve civile irata. Che sta bene nel nostro sito sbieco. 
Alatri – Le Fraschette di Fabio Galluccio
Del campo di Alatri, probabilmente non avrei
saputo nulla, se non fossi andato a Carpi. Lí ho comprato
il libro «Un percorso nella memoria». Nella parte
che riguarda Ferramonti, Carlo Spartaco Capogreco,
una pietra miliare della ricerca che sto svolgendo,
parla di Alatri come di uno dei più grandi campi di
concentramento esistenti in Italia durante il periodo
fascista. Là, però, oggi non penso di trovare piú molto.
Non fa molto caldo e il tempo minaccia. Percorro
l’autostrada fino a Frosinone e poi salgo verso Alatri.
alatri2
Un paese affascinante e misterioso. Domina un colle.
Mura antiche e possenti. Con una rocca massiccia,
inespugnabile, dove lo sguardo si perde alla ricerca
dell’infinito. I monti Ernici accompagnano lo sguardo.
La cattedrale svetta sulle mura. Con una plasticità
elegante. Con una rivisitazione moderna, in parte
baroccheggiante. Nei giardini, mentre una sposa sale
le scale verso la chiesa, cerco di fermare la mia mente
e di godere la pace di questo sabato di un villaggio.
Un juke-box modernissimo suona una vecchia canzone
di Nada, «Giudizio universale», rivisitata da un
nuovo complesso italiano.
Entro in un piccolo chiosco-bar. Chiedo una birra
e compro una guida di Alatri. Come sempre, nessun
riferimento al campo. Chiedo alla signora del bar se
sa qualcosa. «Sì, mio marito si ricorda che alcuni prigionieri
venivano lasciati uscire per giocare a pallone.
Giocavano benissimo. Erano quasi tutti jugoslavi.
Può chiedere a qualche vecchio del luogo».
Sono abbastanza pessimista, ma non mi do per
vinto. Percorro i vicoli medievali. Scopro botteghe di
artigiani locali, ricavate da vecchie cantine. Scendo
verso il corso principale e poi risalgo. Mi si apre di colpo
la piazza di Santa Maria Maggiore. Due chiese le
fanno corona: quella da cui prende nome la piazza e
la chiesa degli Scolopi. Anche se dominano la piazza
i due palazzi civili, in particolar modo il municipio.
È ora di pranzo. Superata la piazza mi accoglie, in
un cortile, La Conca, un locale che mi invita a sostare.
Pranzo. Il ragazzo che mi serve a tavola mi vede
scrivere e mi chiede se sono uno scrittore. Magari! Gli
accenno della mia ricerca e gli dico che sono qui per
le Le Fraschette. «Ah sì, giù, verso Fumone. Da ragazzo
ci giocavo a calcio. Ora ci stanno costruendo l’ostello
della gioventù per il Giubileo. È stato abbandonato
per anni. Vi andavano ragazzi per drogarsi o
fare sesso. Ma nulla che ne ricordi la memoria. Ho
fatto l’istituto industriale, ma mi sono sempre interessato
di storia», mi risponde.
Penso che quel ragazzo, con le sue poche parole,
abbia costruito il vero monumento della memoria, cosa
che politici e amministratori non sono riusciti a fare
in più di cinquant’anni. A fianco a me altre persone
si incuriosiscono. «Mio padre – racconta un signore
con la barba che dice di ritornare dopo anni nel
suo paese – è stato costretto dai nazisti a costruire il
campo».
In realtà, il campo fu costruito dai fascisti molto
prima dell’occupazione tedesca. Apprendo che è stato
trasformato in un campo profughi dopo la fine della
guerra e che ha ospitato libici, egiziani, tunisini o
italiani residenti in quelle nazioni e cacciati da quei
paesi in periodi di forte turbolenza politica, fino agli
anni Settanta. Mi consigliano di visitare i dintorni,
soprattutto l’abbazia di Trisulti. Prendo il numero telefonico
del ragazzo cui prometto una copia della ricerca,
quando sarà ultimata.
lagercop
Con la macchina mi dirigo verso il campo. L’estensione
è enorme. Le baracche, pur in rovina, sono conservate
e si ha chiaramente l’idea di quello che dovevano
essere quando funzionavano. Mi colpisce il
cartello della Presidenza del Consiglio per i lavori di
costruzione dell’ostello: «Campo ex profughi». In effetti,
quella fu l’ultima destinazione del campo. Il cartello
dà una valenza positiva a qualcosa di orribile,
che è stato ideato per rinchiudere uomini.
Telefono sbalordito, indignato alla Fondazione Ferramonti.
Non trovo nessuno, ma lascio un messaggio
e il mio numero di telefono alla segreteria telefonica.
All’inizio del campo, in un piccolo piazzale, c’è
una grotta che custodisce l’immagine della Madonna
di Lourdes. Fra poco ci sarà una festa in suo onore,
come ogni luglio. Stanno pulendo. Il comitato organizzatore
della festa non vive giornate di concordia,
mi spiegano alcuni membri. Questa Madonna è stata
inaugurata dal senatore Andreotti. Penso, tra me e
me, che l’ex presidente del consiglio non ha voltato
la testa per guardare lo sconcio che c’era dietro. Saprò
poi che la Madonna fu trovata semisepolta nel
campo. Probabilmente era custodita nella chiesa che
fu costruita per i deportati.
Torno alla piazza Santa Maria Maggiore. Non posso
pensare che su questo campo non ci sia un testo,
qualcuno che abbia scritto, sintetizzato i ricordi, le
memorie dei deportati. Nessuno ha raccontato? Entro
in una libreria della piazza. Chiedo se qualcuno
ha scritto, parlato de Le Fraschette. «C’è pochissimo.
In realtà, fino a pochi mesi fa avevo un libro. Non mi
ricordo piú come si chiama l’autore», spiega il libraio.
Intanto mi parla degli ultimi profughi. Anche Luciano
De Crescenzo è stato qui. E i genitori di un ex
giocatore della Juventus e della Nazionale, Gentile.
Insisto nel chiedere se si ricorda il nome dell’autore
del libro. «Forse ho il biglietto da visita». Lo cerca nel
cassetto e me lo dà. Quasi non credo a questa inaspettata
fortuna. L’autore si chiama Luigi Centra.
alatri
Desidero andare verso l’abbazia di Trisulti. Voglio
seguire l’indicazione che mi hanno dato, ma anche il
mio istinto. Percorro tra boschi meravigliosi la strada
verso l’abbazia. Come sempre, dopo aver visto il totale
abbandono di questi luoghi e la perdita di qualsiasi
identità, mi sento depresso. Malinconico. Avvilito. Incavolato.
Con la voglia di lasciare tutto il lavoro svolto.
Devo ricaricarmi. Il verde, le poche auto che si
incontrano, il volo degli uccelli che mi accompagnano
mi riconciliano con gli uomini. Arrivo nel piazzale
dell’abbazia.
Quest’abbazia cistercense mi rapisce. Mi droga di
spiritualità. Mi fa per un attimo dimenticare la mia individualità.
Annegare la personalità. Seguo un gruppo
di turisti. Entro nell’antica spezieria. Sul soffitto
affreschi di tipo pompeiano. L’effetto è dirompente.
Varie le scansie e gli scomparti. Su una parete di una
stanza c’è dipinto un frate che invita al silenzio. Fuori
dalla farmacia un piccolo, grandioso giardino. Una
piazza con una fontana precede l’entrata nella chiesa.
Non so in che consista la sindrome di Stendhal.
Se è uno smarrimento, un mancamento per la «troppa»
bellezza, io l’ho avuta. Mi sono dovuto appoggiare.
Per non finire a terra.
La bellezza ti fa perdere la testa. Ti fa smarrire. Cerchi
un’ancora «terrena», che ti aiuti a ritrovare la ragione.
La pala dell’altare, le pareti superiori e laterali.
Un gioco cromatico di rappresentazioni sacre che ti
avvolge trascinandoti, quasi risucchiato nel coro, stranamente
sul lato opposto dell’altare. Con un pannello
ligneo che separa il resto dalla chiesa, probabilmente
riservato agli altri fratelli novizi e agli altri fedeli.
Esco rapito. Travolto dalle scoperte della giornata.
Da “I Lager in Italia. La memoria sepolta nei duecento luoghi di deportazione fascisti” (Nonluoghi Libere Edizioni, 2002).



FABIO GALLUCCIO: "I LAGER IN ITALIA"

LA MEMORIA SEPOLTA NEI DUECENTO LUOGHI DI DEPORTAZIONE FASCISTI

Un viaggio nella memoria, in una storia non raccontata e rimossa. Una 

scoperta in cui l'autore snocciola come un rosario laico uno dopo 
l'altro i campi di internamento italiano durante il fascismo in un 
attonito viaggio in un'Italia spesso sconosciuta, straordinariamente 
bella e affascinante.

Il viaggio inizia casualmente a Ferramonti in Calabria, dove l'autore 
scopre proprio sotto un cavalcavia dell'autostrada Roma-Reggio 
Calabria, all'uscita di Tarsia, un campo di concentramento deturpato 
dall'autostrada, ma recuperabile, con le garitte e le baracche ancora 
in piedi. Da lì si avventura in un labirinto, dove ogni campo scoperto 
è una crudele sorpresa per le parole non dette e la memoria non 
recuperata. Fino ad arrivare ad un numero di oltre cento campi, 
cosciente, alla fine, di averne trovato solo la metà. Un racconto che 
si snoda come un giallo scritto da chi non si occupa di storia, ma da 
un un cittadino come tanti che si indigna di fronte all' occultamento, 
alla non verità.

Campagna, Alatri, Farfa Sabina, Anghiari, Roccatederighi, Civitella del 
Tronto, Urbisaglia, Pollenza, Carpi, Risiera di S.Sabba, sono alcune 
delle tappe nel buco nero della storia italiana. Dove l'autore spesso 
si muove in una panorama onirico da incubo, quasi a voler dimostrare a 
se stesso che non è vero, non è possibile. Ma il risveglio è più amaro 
della realtà.

I campi furono istituiti con decreto del 4 settembre 1940, n.439 e 
dovevano ospitare inizialmente soltanto cittadini stranieri dei paesi 
belligeranti con l'Italia, ma diventarono ben presto campi per ebrei 
stranieri, slavi, zingari, oppositori politici e omosessuali. Da circa 
40 campi iniziali si arrivò ad un numero che, secondo lo storico 
Luciano Casali, professore di storia contemporanea all'Università di 
Bologna, ammonta a 259. L'autore ne ha catalogati 113 in Italia e 22 
nei territori occupati dall'Italia. Alcuni furono campi provinciali 
istituiti durante la Repubblica Sociale Italiana. Pochissima la 
letteratura sulla materia e pochi gli storici che se sono occupati : 
tutto rende il tema più misterioso e affascinante, ma anche più 
terribile.

I campi non furono campi di sterminio, se si esclude quello della 
Risiera di San Sabba, ma soprattutto nei campi del centro-nord dove 
gli alleati arrivarono più tardi, i deportati furono prelevati dai 
nazi-fascisti e portati in Germania per la soluzione finale. In tutto 
questa storia appare, come un'ombra, la presenza della Chiesa che 
sorveglia, dietro le quinte, che il regime non superi certe efferatezze.

Il libro è anche l ' occasione per ripercorrere un periodo storico 
dalle leggi razziali del 1938 alla fine della guerra, dove la 
maggioranza degli italiani visse con leggerezza e superficialità 
quegli orrori senza accorgersi responsabilmente di quello che stava 
accadendo. Ma anche un severo monito a coloro che fondarono la 
democrazia e cercarono di cancellare con un colpo di spugna quello che 
era avvenuto. La storia non perdona chi dimentica e i fatti e la 
cronaca di questi giorni nel nostro Paese ce lo ricordano con 
severità e ci ammoniscono degli errori passati e, purtroppo, presenti.